I.S.R.D.P.

Una foresta …

Un sogno …

Un deserto …

Un monumento …

Un genio …

Parigi, una notte imprecisata di inizio secolo, il ventesimo secolo.

Il genio è inquieto e stanco, ha scritto qualche appunto ma la giornata è stata di quelle poco prolifiche, meglio riporre carta e penna, lasciare il pianoforte ed abbandonarsi ad un sano e rigenerante riposo.

Il sonno arriva tardi, in un imperversare di suoni e idee orchestrali che, nonostante tutto, continuano a rimbalzare tra un orecchio mentale e l’altro.

Ma non sarà una notte come le altre … questa notte cambierà la storia della musica. Ma questo il Maestro non può certo saperlo.

È un sogno potente quello che riempie quella notte del 1910, una visione immaginifica che riporta Igor Stravinsky indietro nel tempo e nello spazio.

Ritorna nella sua Russia, una terra sterminata, che ti possiede e da cui nessuno può mai davvero dirsi affrancato. La grandezza di un territorio dove convivono pianure immense, montagne selvagge, grandi laghi, fiumi eterni ed immense foreste, popolate da creature al confine tra l’umano e il divino, da alberi millenari che hanno visto infinite glaciazioni, estati infuocate e all’ombra dei quali ogni sorta di animale selvatico è nato, si è nutrito ed è morto.

Il Maestro sogna, osserva dal di fuori ma allo stesso tempo è parte della scena.

Ci sono alcune ragazze che si muovono a piedi nudi nel bosco, con vesti chiare e leggere, hanno la purezza di bambine appena sbocciate in donne, pelle chiara, forme gentili.

Improvvisamente da un lato della radura compare questa strana processione, degli uomini, vecchi, o almeno così appaiono allo sguardo dello spettatore. Camminano lentamente, in una sorta di solenne processione; dai loro sai di tessuto grezzo e scuro spuntano a malapena visi taglienti dalle lunghe barbe, perlopiù canute e mani ossute, tenute sul grembo, sovrapposte in una posa che deve sicuramente essere parte di un antico rito.

Che cosa sta accadendo? Perchè questi personaggi si trovano in questo luogo inquietante, in questo tempo indefinito?

In quale secolo siamo?

Nessuna azione è consentita, si può solo assistere a questi eventi, strani, misteriosi.

E la visione continua: le ragazze danzano, incredibilmente non c’è musica, le adolescenti si muovono con grazia e dolcezza commoventi, formano cerchi e poi si dividono di nuovo, più e più volte. E i vecchi saggi, ai margini della radura, in una fila composta e silenziosa, osservano. Nessuno emette alcun suono, solo i raggi della luna piena che tagliano in obliquo la scena, nobilitano in senso artistico un quadro che altrimenti apparirebbe oltremodo inquietante.

È ormai chiaro che ognuno dei personaggi ricopre un ruolo preciso in questa rappresentazione. Ma cosa esattamente si sta rappresentando?

Un rito, un antico rito propiziatorio, un antico rito russo … e misterioso.

Si seppellisce l’Inverno e si saluta il ritorno della Primavera, il ciclo infinito delle stagioni che deve essere onorato nel modo in cui fu onorato dai padri, e prima di loro dai padri dei padri e in cui sarà onorato dai figli e dopo di loro dai figli dei figli.

Il Sacro Rito Della Primavera!

Si adora la Terra da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna. Ognuno si unisce al tutto e in cambio ne riceve energia vitale.

Simboli, segni magici, gesti rituali … il Maestro è irrequieto, respira affannosamente ma si lascia rapire curioso dall’estasi. La sua mente memorizza delle istantanee e ora ha capito qual’è il suo ruolo in questa rappresentazione. Deve vedere, assorbire quest’esperienza per poi farla fluire attraverso la propria Arte e trasformarla in qualcosa di eterno.

Ed è un compito che spaventa, anche se sei Igor Stravinsy.

Ecco, la prima parte del Rito è conclusa, l’omaggio alla Madre Terra è compiuto.

Cosa succederà adesso?

Le adolescenti continuano a danzare, dapprima lentamente, poi in maniera ossessiva e di nuovo tornano quasi immobili.

Un vecchio si avvicina e, senza una parola, si accosta ad una di quelle ragazze, lei lo guarda e riprende a danzare, il vecchio si allontana e insieme agli altri saggi compone un semicerchio.

L’Eletta è stata designata!

Ella viene circondata dalle compagne e inizia una danza forsennata. Il suo corpo sembra pervaso da tutte le energie dell’universo, si agita, muove il capo e le braccia come se udisse un enorme martello picchiare sulla terra, seguendo un ritmo discontinuo, impossibile da confinare in figure conosciute.

È come se tutta la scena fosse regolata da un meccanismo folle, un enorme orologio, con migliaia di ingranaggi che si muovono gli uni dentro gli altri e che produce queste scansioni, questi colpi apparentemente casuali ma che in realtà rispondono ad una logica superiore.

Per un attimo il Maestro intravede questa logica ma è un lampo, perchè ciò che accade nel suo sogno lo riporta di schianto nella foresta russa.

Il Rito è al suo apice!

L’Eletta è ormai preda di una danza spasmodica, le sue compagne, e così anche i vecchi saggi, la fissano, mentre spreme ogni più piccola energia dal suo corpo, nessuno potrà fermarla ormai, il suo destino dovrà compiersi perchè la Primavera vinca sull’Inverno.

Così come è sempre stato e come sempre sarà.

Ed ecco che, in un ultimo esasperato spasmo, l’Eletta si tende, guarda in alto e poi si accascia, senza forze .. senza più vita.

Il Sacrificio è compiuto!

Una giovane donna è stata immolata alla Natura.

Ora i personaggi diventano indefiniti: i vecchi, le adolescenti, e anche l’Eletta; non sono altro che ombre, anche la radura, gli alberi, la luna, si dissolvono.

Igor Stravinsky, in una notte del 1910, si sveglia. Nella sua mente una sequenza precisa di immagini e nelle sue dita una sorta di elettricità, una promessa di nuova musica.

Decide di riaddormentarsi, non è necessario prendere appunti; qui non si tratta di ispirazione.

Qualcuno o qualcosa, vuole! Vuole che lui descriva in musica ciò che ha appena visto (vissuto?) in un sogno. Per questo è convinto che la mattina dopo basterà far fluire tutta questa energia musicale dalla testa alle sue dieci dita (sembrano poche dieci dita per tutta quella roba) e da lì agli ottantotto tasti del pianoforte.

Poi basterà mettere su carta il risultato … tutto qui!

Il risultato però sarà un Capolavoro assoluto, una delle più esaltanti creazioni musicali di tutti i tempi.

Nessuno ha mai scritto prima qualcosa di paragonabile al Sacro Rito Della Primavera, né qualcuno (neanche lui) scriverà mai qualcosa di simile.

Le Sacre du printemps è un unicum, è l’Uluru della musica: un enorme monolite che si erge su un paesaggio meraviglioso ma piatto, un’anomalia visibile da decine di chilometri di distanza.

Potrai ascoltarla centinaia di volte ma stai sicuro che ogni ascolto sarà nuovo, scoprirai nuovi gioielli nascosti: contrapposizioni di tetracordi a distanza di semitono, pulsazioni ritmiche ossessive con cambi di tempo ad ogni battuta, lente melodie ipnotiche che ti porteranno in un altrove spazio-temporale.

Se anche non avesse scritto nient’altro, e per nostra fortuna così non è stato, Igor Stravinsky si sarebbe guadagnato con questo lavoro l’immortalità e la gratitudine eterna di tutti i musicisti e musicofili che da allora si abbeverano a questa fonte inesauribile di suoni e idee orchestrali.

Lettore, se ancora non sei stato iniziato a Le Sacre du printemps, forse è venuto il momento di colmare questa lacuna.

News Reporter
È da quando ho memoria che la musica fa parte di me, forse perchè nato nel bel mezzo di una decade particolarmente significativa da questo punto di vista. L’amore per la lettura e per la scrittura sono arrivati poco dopo e tutte queste passioni, quasi ossessive, non hanno fatto altro che crescere nel tempo. Ho deciso di condividere qualche pensiero, forse anche un po’ per assecondare quel po’ di Narciso che alberga dentro ognuno di noi; che poi quello che scriverò sia o meno interessante non sta a me deciderlo. Certo è che per me si tratta di una forma di auto-coscienza, finalmente potrò fissare immagini e sensazioni che l’arte (fruita o generata, non importa) suscita in me.

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