IL RAGIONIER ZUCCA

Per rompere il ghiaccio, il mio primo intervento è un racconto che non parlerà di musica in senso stretto ma ripercorrerà un ricordo ancora vivo che ha a che fare con le emozioni di un ragazzo.

Avevo 15 anni quando decisi di posare una moquette nella mia camera. Economica come la mano d’opera: lo feci io stesso.

Avevo coperto un bellissimo pavimento, di quelli tipici degli anni 20, con le mattonelle chiare e le greche scure che giravano tutto intorno alla stanza.

I miei genitori lo permisero, come fecero in altre occasioni simili…

Dovevo poter suonare il mio piano senza il problema di disturbare l’inquilino di sotto, organizzare improbabili band con altri amici strimpellanti che ospitavo in uno spazio di cui essi non potevano disporre.

Oltre al piano, avevamo chitarre elettriche, ampli, batteria, organo e non ricordo cos’altro.

Un baccano che non ti dico…

Ma ora ero più tranquillo: potevamo “affondare i colpi” senza troppe preoccupazioni.

In realtà non avevo mai ricevuto lamentele per il “fastidioso sonoro” e pensavo che la tolleranza del Ragionier Zucca (così si chiamava) era dovuto al buon rapporto tra le due famiglie e dalla sua delicatezza.

Passò del tempo. Settimane. Forse mesi.

Una sera, rientrando a casa lo incontrai e mi disse che voleva farmi una domanda.

Lo invitai a chiedere, includendo nel ventaglio delle possibilità anche quella di una lamentela formale. Il che sarebbe stata cosa complicata non tenere in considerazione.

Ma lui, con lo stile che sempre lo contraddistingueva, mi disse: “Paolo, come mai non sento più bene quando suoni?”

Rimasi abbastanza sorpreso quando mi spiegò il fatto e realizzai che il problema consisteva nel suo non riuscire ad ascoltare quei suoni, quelle note, quelle canzoni sebbene maleseguite…

Ero involontariamente la colonna sonora dei suoi pomeriggi, passati intento a lavorare tra le sue scartoffie. “Mi fai tanta compagnia…” aggiunse. E capii che lui era stato il mio primo “pubblico”, un orecchio silenzioso che aveva seguito, con inevitabile e pluriennale costanza, la mia evoluzione da “Fra Martino Campanaro” a “A Whiter Shade of Pale”.

Da quella sera, spesso, quando mi mettevo al piano o suonavo con gli amici, pensavo a lui con le dita sulla calcolatrice ma con l’orecchio al soffitto.

Non tornammo mai più sull’argomento.

Non so se è ancora tra noi. Temo di no.

Comunque, dovunque tu sia, grazie di cuore Ragionier Zucca!

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